Le parole per ferire

le-parole-per-ferire-piccolaPer chi come noi insegna l’italiano (o qualunque altra lingua) le parole sono portatrici di qualcosa di bello: le persone studiano una lingua straniera per passione, vengono da noi perché amano viaggiare, vogliono incontrare e stare con chi ha una storia e una cultura diversa.

L’apprendimento di una lingua straniera è il primo strumento verso la comprensione dell’altro, e la comprensione porta rispetto. Ma qualche giorno fa mia sorella mi ha segnalato un articolo di Tullio De Mauro sull’Internazionale e ho dovuto riflettere (certo non per la prima volta, ma sicuramente con più attenzione che in passato) sulla forza negativa che le parole hanno. “Anche nell’odio le parole non sono tutto, ma anche l’odio non sa fare a meno delle parole” scrive De Mauro.

Ma come fa lui nel suo articolo, partiamo dall’inizio: il 16 maggio 2016, la Presidente della Camera Laura Boldrini  ha istituito una commissione sull’intolleranza, la xenofobia e il razzismo da lei stessa presieduta che ha il compito di condurre attività di studio e ricerca sui temi sopra elencati, e deve farlo anche attraverso lo svolgimento di audizioni. Nella seduta del 4 luglio 2016, la Commissione ha deciso di inserire nella propria denominazione il riferimento a Jo Cox, la parlamentare laburista britannica impegnata contro la xenofobia, assassinata il 16 giugno 2016. Scelta che sicuramente spiega lo spirito e l’impegno di chi ne fa parte.

Tullio De Mauro ha dato a questa commissione  il suo contributo di linguista. Nel recente articolo apparso su L’internazionale citato prima, parla appunto delle “parole dell’odio” e di come queste siano così dentro il nostro linguaggio quotidiano, quello che usiamo e quello che sentiamo usare dagli altri, che tante volte quasi non ci rendiamo conto della forza negativa di ciò che diciamo, delle parole che usiamo e di come le usiamo.

Le parole per ferire

E’ lui stesso a definire il suo elenco, in modo lucido e preciso,  “istruttivo” e ripugnante e credo non potesse trovare modo migliore per descriverlo. Istruttivo perché effettivamente siamo messi davanti al nostro modo di esprimerci, davanti al fatto che portiamo quotidianamente messaggi negativi senza quasi rendercene conto. “Ripugnante” perché essere portatori, seppur spesso involontari, di tali messaggi non può che essere ripugnante.

L’articolo prosegue con lungo elenco di categorie di termini usati per ferire: parole per descrivere diversità rispetto a ciò che appare normale, che denotano diversità socio-economica, mancanza di abilità psico-fisica e parole tratte dal mondo vegetale e animale. Insomma, siamo in grado di esprimere disprezzo traendo spunto da qualunque ambito lessicale, come se l’intero vocabolario della nostra lingua fosse un enorme serbatoio di insulti.

Certo, non tutti termini hanno lo stesso peso: pensate all’organo genitale maschile (cazzo per intenderci), i suoi derivati hanno sì una valenza negativa ma non sono sempre percepiti come insulti. Il termine cazzeggiare, per esempio, dà l’idea di perdere del tempo senza fare niente di importante, non è quindi classificabile come insulto in senso assoluto,che ma sicuramente non gli si può negare un posto nell’elenco del famoso linguista.

Da un punto di vista linguistico, non nego che tutto questo sia interessante. La capacità delle persone di usare le parole ha qualcosa di affascinante, risponde al bisogno dell’uomo di farsi capire, di entrare in contatto con i suoi simili, di raccontare il mondo intorno a sé e dentro di sé. Ma qui si tratta di odio e discriminazione, di offendere in maniera più o meno diretta singoli e categorie, anche in ambienti che dovrebbero essere lontani da tutto questo e portatori di messaggi dal significato opposto.

Le parole per parlare

Perché la lettura del suo catalogo sia meno sgradevole, Tullio De Mauro ha inserito all’inizio una filastrocca di Gianni Rodari messa in musica da Sergio Endrigo che, nello stile del poeta, elenca tutte le parole che abbiamo: ne abbiamo per vendere e per comprare; per ferire e per fare il solletico; per piangere, per tacere e per fare rumore. E ci invita ad andare insieme a cercare quelle per pensare, per amare e per parlare. A cercarle non ad inventarle. Perché sono parole che esistono e che dobbiamo solo cercare insieme. Io vorrei chiudere proprio con gli ultimi versi della filastrocca di Rodari: “Andiamo a cercare insieme le parole per parlare”. Per parlare, senza odio, senza insulti, senza ferire.

 

 

 

 

 

“Sardus_Italia“